Abiti e modularità: come è nata l’idea

L’idea del divisible dress è nata durante i miei viaggi di lavoro quando mi occupavo di reti di telecomunicazione in Italtel s.p.a., importante azienda italiana guidata, in quegli anni, da Marisa Bellisario, un riferimento per tante donne della mia generazione e non solo. Erano gli anni ‘80, gli anni delle sperimentazioni del passaggio dall’analogico al digitale, una fase importante che ha dato l’avvio alla rivoluzione tecnologica.

I concetti di “modulo” e di “interoperabilità” erano diventati fondamentali nella progettazione in tanti settori. Il mondo dell’informatica e delle telecomunicazioni stava vivendo una fase epocale, alla ricerca di nuove soluzioni che rendessero fruibili per tutti conoscenze ed informazioni, con lo sviluppo della rete internet. Durante i miei viaggi, le giornate erano scandite da riunioni e da cene di lavoro. La necessità di avere un abbigliamento adeguato alle diverse occasioni e una borsa viaggio comoda e leggera, per coniugare eleganza e praticità cambiando molto con poco era un pensiero che aveva iniziato a prendere forma.

PERCHÈ NON APPLICARE IL CONCETTO DI “MODULO” ANCHE ALL’ABBIGLIAMENTO?

Ho iniziato a sviluppare quest’idea in concreto qualche anno fa. Sono partita dai modelli dei miei vestiti a tubino ed ho iniziato ad immaginare la divisione dell’abito in due componenti, una parte “top” e una parte “gonna”. Ho provato diverse soluzioni di aggancio, sperimentandole in più punti di applicazione. Tanti tentativi falliti. Poi un incontro con la ditta Lanfranchi ha consentito la messa a punto della soluzione tecnica.

Risolto l’aspetto tecnologico e brevettata la soluzione, mi sono resa conto che questa modalità di scambio dei pezzi offriva anche aspetti di creatività ed una libertà di composizione del vestito che non avevo immediatamente visto: accoppiare colori, disegni, tessuti, in modo libero assecondando il personale estro. Ho raccontato il progetto ad un amico ed artista, Renato Geraci, che non solo mi ha stimolato a perseguire nell’idea, ma ne ha tracciato un’impronta artistica e stilistica, proponendomi una serie di disegni (“pattern”) da stampare sui tessuti, con l’obiettivo di rendere esclusivi ed unici i nostri prodotti.
Ho iniziato ad immaginare e disegnare con l’entusiasmo per un nuovo viaggio tutto da scoprire. I miei riferimenti ricorrenti ed il flusso creativo partono dall’estetica degli anni ‘60 e ‘70, anni della mia formazione, studentessa del liceo classico Beccaria di Milano, un contesto stimolante e decisivo anche per la scelta degli studi successivi di Matematica. E’ da quel vissuto che prendo spunto, aiutata dai miei ricordi, dalle foto di famiglia e dalle vecchie riviste di moda presenti nella casa di campagna di un piccolo borgo, Sangiano, in provincia di Varese, vicino alla sponda lombarda del Lago Maggiore.

Ho ripercorso quegli anni selezionando immagini, forme, colori, stili, tessuti, leggendo monografie e frequentando corsi. L’idea del design modulare nella moda non è affatto un’invenzione di oggi, ma risale agli inizi del secolo scorso, quando alcuni stilisti iniziarono a esplorare questo concetto, introducendo pezzi separati e coordinati, per arrivare a soluzioni di modularità in diverse tipologie di abbigliamento. Il progetto che avevo in mente voleva arrivare ad una soluzione di modularità con un sistema di aggancio “standardizzato” in modo da garantire l’intercambiabilità nel tempo, in un continuo riuso e rinnovamento. Ho cercato di dare un’impronta contemporanea e metropolitana, ai disegni degli abiti che avevo in mente. Essendomi formata professionalmente nella primissima era digitale, lo strumento che utilizzo per disegnare gli schizzi degli abiti è powerpoint, che mi permette, in modo molto schematico e geometrico, di “vedere” le mie soluzioni e di validarne le combinazioni di modelli, colori e stampe in modo semplice ed immediato. La collaborazione con uno storico studio di modellistica vicino a Varese ha permesso di tradurre i miei schizzi in qualcosa di concreto, dando loro forma, linea e volume.

La fase di ricerca e di scelta dei filati e dei tessuti di alta qualità, delle tecnologie legate alla lavorazione di questi materiali è iniziata dalle aziende dei distretti tessili vicini a Milano (Como, Biella e Borgosesia, Varese). Devo sinceramente ringraziare le tante realtà che ho incontrato e che, con la loro disponibilità e pazienza, mi hanno aperto ad un mondo straordinario per competenze e passione per il proprio lavoro, e mi hanno aiutato a sviluppare i primi prototipi e valutare le prime soluzioni. Partire dalle materie prime, filati e tessuti grezzi, e seguirne il processo di lavorazione per la stampa e la tintura mi ha permesso di verificare in modo diretto quanto sia estremamente prioritaria l’attenzione all’ambiente, specialmente per alcune fasi dei processi produttivi, ed ai materiali, alle loro provenienze ed alle loro composizioni. Recuperando e riaggiornando le mie conoscenze sulle analisi di impatto ambientale, ho deciso di muovermi sin da subito seguendo le direttive di assessment di impatto ambientale promosso di B Lab, l’ente no-profit che certifica le B-Corporation, con la profonda convinzione che ogni nostra scelta richiede consapevolezza e valutazioni delle ricadute lungo tutta la filiera produttiva. Il coinvolgimento di aziende e partner che condivono una visione etica e sostenibile è diventato il driver fondamentale nella scelta dei nostri fornitori.

Con questo percorso è nata nel 2019 la startup Minimal Path. Minimal Path è una startup familiare: mio figlio Federico vi partecipa svolgendo un indispensabile ruolo di mediatore culturale-anagrafico rispetto alle evoluzioni tecnologiche che si sono sviluppate nel web, con una grande passione per il design (frequenta la Scuola del Design del Politecnico di Milano), per nuovi brand ricercati ed indipendenti, e con l’innata impostazione multi-culturale senza confini imposti, come tutti coloro che sono nati a fine 2000.

Il nostro progetto United Separable ® pone la modularità in prima linea nel processo di progettazione dei nostri prodotti. La fase di avvio è stata caratterizzata da analisi, studi e ricerca di materiali, esplorando forme, stili, filati, tessuti per raccontare i miei luoghi della memoria, nella versatilità delle atmosfere di quegli anni interconnessi alla contemporaneità ed alla consapevolezza del vissuto. L’emergenza Covid di questi due anni – 2020 e 2021-, il rallentamento di tutte le attività ed il cambiamento che ha provocato ci hanno consentito di mettere a punto l’intero progetto, lavorando sulle tematiche dell’economia circolare, sullo stile, sulla definizione di dettagli e varianti che ci permettono di presentare in uno showroom di Milano la nostra proposta di un sistema di pezzi, tra loro liberamente agganciabili, secondo la propria creatività e le esigenze quotidiane, la Minimal Box. Questi due anni sono stati fondamentali per il consolidamento della filiera, del team di collaboratori e delle associazioni che ci stanno supportando in questo percorso.

La nostra strategia di mercato parte dalla consapevolezza che l’abito ha la necessità di essere provato, i tessuti devono essere toccati. L’aspetto materico e la cura nei dettagli sono fondamentali per differenziarsi e per avere successo a livello commerciale. Ecco perché siamo in una ricerca continua di boutique e negozi che condividano il progetto e ci aiutino nella nostra proposta e nella relazioni con le clienti. Nei nostri piani è previsto anche la proposta online.

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